giovedì 28 marzo 2024

N. Carelli - La cartolina illustrata, 1939




 

Heitor Villa-Lobos + Chòros

Rio de Janeiro 5-III-1887 - 17-XI-1959 

Studiò in patria, soprattutto da autodidatta, coltivando con passione il violoncello che suonò in orchestrine di musica leggera e di teatro. Si dedicò giovanissimo alla raccolta di canti popolari e indigeni brasiliani, e dal 1923 al '26 visse a Parigi, dove ritornò tre anni dopo facendovi conoscere musiche proprie. Tornato in Brasile, fu dal 1930 direttore dell'Accademia Brasiliana di Musica e dal 1932 sovrintendente dell'educazione musicale in tutte le scuole della repubblica. Nel 1942 poté fondare il Conservatorio Nazionale di Canto Corale, nel cui ambito tenne concerti con masse sterminate di giovani. Si fece applaudire anche all'estero come direttore di proprie composizioni.
Figlio di una india, Villa-Lobos senti ben presto in maniera quasi istintiva il richiamo del canto indigeno del Brasile : alla musica etnica del suo paese è ispirata la massima parte della sua produzione, che lo pone alla testa dei compositori " nazionali" dell'America Latina. La conoscenza approfondita delle
correnti musicali europee degli " anni '20 " gli permise di introdurre nella sua musica una problematica attuale: se da un lato è possibile riconoscere l'influsso dei neoromantici tedeschi, dall'altro è chiaro anche che la lezione del neoclassicismo e di certo fauvismo europeo non è passata in lui senza lasciar segno.
Fondamentale però per la sua formazione lo studio del contrappunto bachiano, a cui spesso si richiama nella sua opera e che gli permette un severo rigore di stile.


Chòros (1920-29)
« Chòros - ebbe a dire l'autore - è una nuova forma di composizione musicale, in cui si aspira a una sintesi dei diversi tipi di musica brasiliana indiana e popolaresca, e che rispecchia nelle sue parti costitutive il ritmo e le melodie caratteristiche del popolo, melodie... che vengono continuamente trasformate dall'ispirazione individuale del compositore.
Anche il procedimento armonico costituisce una totale stilizzazione dell'originale: questa forma può essere lontanamente paragonata a quella della serenata. » 
Il Chòros è dunque una forma tipica della musica popolare brasiliana, che Villa-Lobos ha nobilitato e ravvivato artisticamente in alcune pagine che sono tra le sue più personali e avvincenti. Rimangono della forma originaria il vigore ritmico e la penetrante forza delle melodie, calati in un discorso serrato, a volte quasi tumultuoso, sempre colorito e sorretto da un'ispirazione sincera.
Dei Chòros composti da Villa-Lobos solo cinque sono per complesso strumentale sinfonico:
Chòros n. 6 per orchestra, chitarra e strumenti a percussione indigeni (1926). 
Chòros n. 8 per due pianoforti e orchestra 1925) - Di questo lavoro il critico belga Paul Collaer ha scritto: « A volte si scatena un vento di follia, gli strumenti urlano delle sorprendenti onomatopee, la batteria - vera orchestra di strumenti a percussione - martella i ritmi con un furore dionisiaco, l'orchestra supera se stessa in frenetica violenza: è un cataclisma sonoro, un'eruzione vulcanica, un ciclone ... »
Chòros n. 9 per orchestra (1929).
Chòros n. 11 per pianoforte e orchestra (1928) - È uno dei pezzi più impressionanti del musicista, dove si fondono in un grandioso affresco le più diverse influenze del folclore indio, negro e bianco del Brasile.
Chòros n. 12 per orchestra (1929) - C'è da notare in questo pezzo soprattutto la ricchezza della sezione percussiva, comprendente un numero grandissimo di strumenti indigeni.

mercoledì 27 marzo 2024

Graziano Gessi: La donna del poeta


Le voci, al circolo letterario del paesino di provincia, si erano fatte sempre più insistenti, sebbene non se ne facesse cenno in nessun articolo: quella sera, oltre al solito relatore, con il compito di illustrare le opere, c’erano il giornalista del quotidiano locale - attento a non perdersi nessun sussurro -,  l’attore a cui era toccato il compito più arduo, interpretare il pensiero del Maestro senza incertezze, trasmettendo tutte le emozioni, esaltandone i testi, e il musicista, che doveva accompagnare la lettura con note di sottofondo, senza sovrastare il testo ma sostenendolo.
Arrivò una donna, entrò con passo deciso, il rumore dei tacchi risuonò, sovrastando il brusio della stanza come un susseguirsi di note.
Il suo sguardo era fiero, il suo stupendo abito chiaro spiccò come una pennellata di colore che diede luce al grigiore generale.
Lui la notò subito e come sempre ne restò affascinato, gli sguardi si incrociarono, e in quell’incontro si dissero tutto.
Lei allungò la mano verso di lui, come per annullare quella distanza fisica che cera tra loro, li divideva il grande tavolo della sala, lui portò la mano alle labbra e poi aprendo il palmo soffiò accompagnando con un gesto della mano quel bacio virtuale, che lei raccolse con un sorriso.
Si sedette in prima fila, voleva poter vedere i suoi occhi, e non perdersi nulla di quello sguardo che lei  tanto anelava.
La serata ebbe inizio, dopo un po’ di imbarazzo generale, smorzato subito dal maestro che parlando in dialetto locale mise tutti a proprio agio, asserendo che quella era una serata  fra amici, di letture e chiacchiere come si era sempre fatto, al vecchio circolo, o come spesso accadeva sotto i porticati  ai tavolini di quello che un tempo era l’unico bar del paese.
L’attore lesse con tutto il trasporto possibile le poesie del Maestro, che sorrideva e lo incoraggiava con lo sguardo.
La donna con il vestito chiaro applaudiva sempre per prima alla fine di ogni testo, trascinando il resto della platea che pareva quasi intimorita dalla presenza dell'Autore.
Le note di sottofondo erano appena percettibili e non distoglievano l’attenzione dal contenuto.
Quando l’Autore lesse, con voce calda e profonda alcuni brani, ogni donna presente si sentì destinataria di quelle parole d’amore.
Ma solo lui era depositario di quel segreto, solo lui sapeva da dove venivano quelle parole, qual era stato il motivo, di gioia, di passione di dolore a volte, quale era il luogo e persino l'istante esatto in cui erano nate.
Dopo un paio d’ore, dove tutti stavano in religioso silenzio, rotto solo dagli applausi, il Maestro si congedò, firmando in fretta alcune coppie che erano state appoggiate sul tavolo, prese per mano la donna dal vestito chiaro e con il Presidente che gli faceva ossequiosi inchini, mentre precedendolo lo accompagnava verso un’uscita laterale e il fido scudiero teneva distante i presenti, Il Maestro e quella donna di cui nessuno sapeva niente, scomparvero.

Il Direttore alzò lo sguardo dal foglio con aria delusa, “Ebbene? Tutto qui ? Chi era quella donna, perché era con lui, perché non hai fatto nemmeno una foto ? Ma che diamine ! Erano quelle le domande da fare accidenti ! Hai per le mai uno scoop e mi fai un pezzo del genere !” Lanciò il foglio verso il povero cronista urlando: “Riscrivilo ! E fanne un pezzo come si deve, o ti sbatto ai necrologi!”
Il giornalista si inginocchiò di fronte al Direttore, raccolse il foglio, si recò alla sua scrivania, si sedette e alzando la barra, infilò un nuovo foglio nella macchina da scrivere, poi tac la abbassò, il foglio aderì al rullo, con lentezza prese a girare il tamburo, cric, cric, cric, cric, quel suono era per lui come un alzarsi di  saracinesca, come se si aprisse un sipario, di fronte a lui non un foglio bianco, ma uno schermo, sul quale stava per essere proiettato il film, che la sua fantasia gli permetteva di vedere..
“Il nome della donna? chi se ne frega chi era ! Come si chiamava, da dove veniva?” non era quella la domanda che potendo gli avrebbe fatto.
Altre erano le cose importanti, cosa era rimasto di quel ragazzino scontroso, che si chiudeva nello sgabuzzino a scrivere, ora che era diventato famoso, ora che era conosciuto da tutti.
Passando per quelle stesse strade, sotto quegli antichi porticati che il tempo non aveva mutato, come si sentiva ? Ancora così vuoto, rivedendo quei luoghi, rileggendo quelle poesie, cosa pensava ora. Quel  ragazzo che scriveva “Non cercatemi fra la gente normale, non cercatemi affatto, tanto non mi troverete ! Sono solo nella valle dell’oblio” ora che “deve” stare nascosto per restare in pace, ora che è sotto i riflettori, dopo anni passati a “sentirsi  invisibile”. Il giornalista avrebbe voluto entrare nell'anima del poeta, nei suoi più profondi pensieri, e non sotto le gonne della sua donna. 
Ma ciò che lui avrebbe voluto, come sempre, non era  quello che volevano gli altri.
Con la mano destra fece pressione sulla leva due volte ed il foglio scorse verso l’alto.

Fece un respiro profondo, poi iniziò a picchiare sui tasti e scrivere il primo rigo.

La donna del poeta...

 

martedì 26 marzo 2024

Inverno



Sta arrivando,
lentamente,
ma sta arrivando.
Fuori il freddo
punge un po',
l'aria è secca, secca,
il freschetto,
intenso,
si infila dappertutto.
Forse ci siamo,
l'inverno è qui.
La punta del naso,
i lobi delle orecchie,
le dita delle mani,
i piedi...
...sono gelati,
intirizziti.
L'inverno
non è più alle porte,
ma sta entrando
in casa.
Quando si rientra
si avverte
subito
il tepore interno,
un bel caldino
che riscalda il corpo,
ma non il cuore,
perché pensiamo
a tutti quelli
che adesso
non hanno riparo...


 

lunedì 25 marzo 2024

Dan Brown: Il simbolo perduto


Fin dal principio dei tempi, il segreto è sempre stato come si muore.
L'iniziato, che aveva trentaquattro anni, guardò il teschio umano che teneva fra le mani come una coppa. Era pieno di vino rosso sangue.
Bevilo, si  disse. Non c'è nulla di cui aver paura.
Come richiesto dalla tradizione, aveva cominciato il suo viaggio indossando le vesti rituali dell'eretico medievale condotto al patibolo: la tunica aperta sul petto chiaro, il calzone sinistro arrotolato sopra il ginocchio, la manica destra rimboccata fino al gomito e un grosso cappio intorno al collo. Quella sera, invece, come gli affiliati che assistevano al cerimoniale, era vestito da maestro.
I fratelli intorno a lui avevano grembiuli di pelle d'agnello, fasce e guanti bianchi, e al collo portavano gioielli cerimoniali che brillavano come occhi spettrali nella luce fievole. Molti di loro ricoprivano cariche prestigiose nella vita, ma l'iniziato sapeva che tra quelle mura la posizione sociale non aveva alcuna importanza.
Lì erano tutti uguali, fratelli uniti da un legame mistico, da un giuramento solenne.
Mentre osservava quello straordinario consesso, l'iniziato pensò che nessuno avrebbe mai immaginato di vedere riunita quell'assemblea, e men o che mai in quel luogo. La sala pareva un antico santuario.
Ma la verità era ancora più strana.
Mi trovo a pochi isolati dalla Casa Bianca.
Il monumentale edificio, al civico 1733 di Sixteenth Street NW a Washington, ricalcava un tempio precristiano, il tempio di re Mausolo ad Alicarnasso - il primo "mausoleo " - costruito per ospitare le spoglie del defunto monarca. Ai lati dell'ingresso principale, due sfingi di diciassette tonnellate facevano la guardia al portone di bronzo. L'interno era un labirinto riccamente decorato di camere rituali, corridoi, sotterranei, biblioteche e persino una parete cava dietro la quale erano murati due scheletri. L'iniziato era stato informato che ogni stanza di quell'edificio racchiudeva un segreto, ma lui non ne conosceva nessuna che potesse racchiudere segreti più arcani della sala gigantesca in cui era inginocchiato quella sera, con un teschio fra le mani.
La Sala del Tempio.
Era perfettamente quadrata, alta trenta metri, con il soffitto sostenuto da colonne monolitiche di granito verde. Vi erano sistemate file e file di sedie di noce russo, scure, rivestite di pelle di cinghiale. Sul lato ovest c'era un trono alto dieci metri, di fronte a un organo a canne nascosto. Le pareti erano un caleidoscopio di antichi simboli egizi, ebraici, astronomici, alchemici e di altro genere, ancora tutti da scoprire.
Quella sera la Sala del Tempio era illuminata da una serie di ceri sistemati con grande precisione. Al loro cupo bagliore si aggiungeva il pallido riflesso lunare che entrava dal grande lucernario nel soffitto e illuminava l'arredo più impressionante di tutta la stanza, un enorme altare ricavato da un unico blocco di marmo nero del Belgio, al centro esatto del pavimento perfettamente  quadrato.
Il segreto è come si muore, si ripete l'iniziato.
«È ora» sussurrò una voce.
L'iniziato lasciò che il suo sguardo salisse verso la figura vestita di bianco in piedi davanti a lui, il Venerabilissimo Maestro. L'uomo, vicino alla sessantina, era un'icona americana, stimato, energico e immensamente ricco. I suoi capelli, un tempo scuri, stavano ingrigendo, e il suo volto celebre esprimeva grande intelligenza e autorevolezza.
«Presta giuramento» disse il Venerabilissimo Maestro con voce suadente, soffice come neve. «Completa il tuo viaggio.»
Il viaggio dell'iniziato era cominciato dal primo grado, come sempre. Allora, con un rito simile, il Venerabilissimo Maestro gli aveva infilato un cappuccio di velluto e, puntandogli un pugnale sul petto nudo, gli aveva chiesto: "Dichiari sul tuo onore, con serietà e senza motivazioni mercenarie o altrimenti indegne, di offrirti liberamente e di tua spontanea volontà a questa fratellanza, per venire messo a parte dei suoi misteri e privilegi?".
"Mi offro" aveva risposto l'iniziato. Ma era una menzogna.
"Che questo sia di stimolo alla tua coscienza, giacché se mai tradirai i segreti che verranno a te rivelati, la tua morte sarà immediata."
All'epoca, l'iniziato non aveva provato alcun timore. Non verranno mai a sapere le mie vere intenzioni.
Quella sera, tuttavia, gli sembrava che l'atmosfera solenne della Sala del Tempio fosse carica di cupi presagi, e gli tornarono in mente gli avvertimenti ricevuti nel corso del viaggio, le minacce di terribili conseguenze nel caso avesse mai rivelato gli antichi segreti di cui stava per venire a conoscenza. Gole squarciate...  lingue  recise alla  radice...  viscere estratte e bruciate...  sparse
ai quattro venti...  cuori strappati dal petto e dati in pasto alle fiere...
«Fratello» disse il Venerabilissimo Maestro dagli occhi grigi, posando la man o sinistra sulla spalla dell'iniziato. «Presta il giuramento finale.»
L'uomo si preparò a compiere l'ultimo passo del suo viaggio iniziatico, si spostò lievemente e abbassò lo sguardo sul teschio che teneva fra le mani. Il vino, alla luce delle candele, pareva quasi nero. Nella sala regnava un silenzio di tomba e lui si sentiva addosso lo sguardo di tutti i presenti, in attesa che prestasse il giuramento finale ed entrasse a far parte della loro cerchia ristretta.
Stasera, pensò  l'iniziato,fra  queste mura sta avvenendo qualcosa che mai ha avuto luogo in tutta la storia della fratellanza, in tutti i secoli dei secoli.
Sapeva che sarebbe stata la prima scintilla... e che gli avrebbe dato un potere incommensurabile. Pervaso da una nuova energia, fece un profondo respiro e pronunciò ad alta voce le stesse parole che innumerevoli uomini prima di lui avevano pronunciato in tutto il mondo.
«Possa il vino che sto per bere trasformarsi in mortale veleno se ma i violerò il mio giuramento, consapevolmente o inconsapevolmente.»
Le sue parole risuonarono nell'enorme sala. Poi scese il silenzio.
Con mano ferma, l'iniziato avvicinò il teschio alla bocca e lo sfiorò con le labbra. Poi chiuse gli occhi e lo inclinò, bevendo il vino in lunghe sorsate. Quando l'ebbe finito, abbassò di nuovo il teschio.
Per un attimo provò una strana costrizione al petto e il cuore prese a battergli all'impazzata. Mio Dio, mi hanno scoperto! Poi, veloce com'era venuta, quella sgradevole sensazione scomparve e un piacevole calore lo invase.
Fece un sospiro e sorrise fra sé guardando l'uomo dagli occhi grigi che, senza sospettare nulla, lo aveva incautamente ammesso nella cerchia più ristretta della fratellanza.
Presto perderai ciò che hai di più caro al mondo.